La lentezza e altre scoperte

Mi sto liberando del germe del multitasking. Percepivo a livello intuitivo di doverlo fare, ma non avevo mai fatto nulla per prenderne le distanze. Non sono nato figlio del multitasking ma ne ho ben presto abbracciato le premesse. Il multitasking mi generava ansie: credevo di potere e dovere fare tutto, in contemporanea. In quel modo gettavo le fondamenta per un’infelicità subdola.

Sto rileggendo, sto riascoltando, sto riflettendo, ma senza fare null’altro allo stesso tempo. Quando rastrello le foglie nel giardino non porto più con me le cuffiette. Quando corro il perimetro della fattoria alzo la testa, noto i Baobab che stanno lì da mille anni e i canguri che battono la coda sul terreno per avvertire tutti del pericolo. Ma farlo in paradiso è facile: gli elementi ti invitano a metterti in connessione con loro. Più difficile è farlo dove la prossimità tra le persone è così elevata che induce a creare barriere, a mettere su una colonna sonora nel quale sentirsi al sicuro. Dove le distanze fisiche si accorciano ecco che cresce la distanza emotiva. Prendi strade secondarie, dimenticati del tempo ed ecco che senti vicino a te un calore diverso.

Il multitasking ci abbaglia con la promessa di poter ottimizzare i tempi; il nostro cervello avalla l’inganno comunicandoci che, certo, lui è in grado di guidare e parlare al telefono allo stesso momento. Singletasking allora non è semplicemente disconnettersi dalle email e da Facebook. Non è solo fare una cosa per volta, e farla bene. È anche non fare niente, è anche attivare le gambe e le mani come attività propedeutica al processo creativo, è anche essere connessi con quello che si fa, con le motivazioni più profonde. È continuare a fare una cosa anche se non sta riuscendo bene, se riteniamo abbia un valore. Per fare questo non c’è bisogno di disconnettersi: ritengo che la dimensione social abbia aggiunto, piuttosto che tolto. C’è il rischio però che questa abbia l’effetto di una giostra: può divertirci ma anche farci sentire un po’ confusi, alla fine. C’è bisogno di dare il giusto peso all’interconnessione, e capire che non ne abbiamo sempre bisogno.

 

Categorie: Diario notturno, Downunder, Riflessioni | Tag: , , | 15 commenti

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15 pensieri su “La lentezza e altre scoperte

  1. Riesco a fare male una sola cosa singolarmente, farne tante in contemporanea produce una serie di porcherie inenarrabili. E poi, liberarsi della moltitudine per concentrarsi sulla singolarità ti fa star molto ma molto più a tuo agio.

    • hai centrato il punto: è proprio questo ritrovato benessere a conferire valore a questa dimensione più lenta.

  2. Riesco a fare più cose contemporaneamente, questo però non ho mai dato garanzia di felicità o almeno qualche soddisfazione se non la riuscita in se stessa. Provare a fare una cosa per volta è un’esperienza recente. Un viaggio da continuare. Quasi sicuramente verso la semplicità. Da sola.

    • e vabbè, ma tu sei femminuccia, si sa che noi uomini andremmo incontro a uno spietato fallimento se ci provassimo! a parte scherzi, anche il mio viaggio è iniziato così, da solo, ma chissà che riscoprire un nuovo me non mi porti a relazionarmi meglio agli altri.

  3. lois

    Come non darti ragione! La tecnologia, i social, la rapidità delle informazioni ci ha fagocitato e reso schiavi! Peró come in tutte le cose, è la cattiva gestione ed il cattivo utilizzo che alterano la percezione della realtà! Occorre certamente avere la consapevolezza del proprio spazio e del proprio tempo! In questo modo, anche lontano dai “paradisi” si puó ritornare a percepire la bellezza delle piccole cose e del tempo che le trascina con se!

    • e però: da dove nasce il cattivo utilizzo? le nuove tecnologie dovrebbero contenere il foglietto informativo: attenzione, adoperare con buon senso! mah, esserne consapevoli è rinfrancante, salvo poi adirarmi quando vado in treno e tutti gli occhi sono abbassati sugli schermi intelligenti, impedendo qualsiasi contatto umano.

      • lois

        dovrebbero fare le carrozze per non-utilizzatori di smartphone… 🙂

  4. ne conosco che ci son morti, di multitasking…

  5. fermare gli incroci ossessivi. disoccupare il tempo, perché da quando si ricomincia a gustarlo questo tempo si ricomincia a pensare che fare le cose una alla volta , una per una, perbene e senza spostarsi sempre, non è solo un esercizio di igiene, ma anche una riconquista della buona educazione.

  6. il multitasking è d’obbligo quando sei genitore. Non c’è scampo, e la cosa assurda è che per sfuggire al multitasking totalizzante del lavoro/casa/figli(scuola/palestra/amici/feste), si aggiungono tasselli e impegni e letture tradizionali e letture di social e blog e scrittura e … sono un po’ satura effettivamente

    • mi sa che non ci avevo pensato, però possiamo definire quello come un multitasking evolutivo, necessario e perseguito da entrambe le parti (genitori e figli), mentre quello cattivo potremmo definirlo multitasking indotto. e comunque, forse dopo tanto indaffararsi ritrovare un tempo più lento per se stessi è ancora più piacevole. 🙂

  7. quanta bella, profonda chiarezza. ne avevo bisogno. un saluto pieno di gratitudine.

  8. Un richiamo che secondo me ognuno già si fa, intimamente, perchè attualmente il multitasking non ha ancora fatto in tempo ad alienarci completamente, ma sentito dall’esterno fa più effetto, come una sana sgridata, senza volerlo essere, naturalmente. Ti invidio soprattutto le code di canguro che svolacchiano di qua e di là.

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